La medicina narrativa rientra nelle medical humanities, termine usato a partire dagli anni 1960 per indicare l’incontro della medicina con le scienze sociali e comportamentali (antropologia culturale, sociologia, psicologia, diritto, economia, storia e storia della medicina, ecc.), la filosofia morale (teologia morale e bioetica) e le arti espressive (letteratura, musica, arti figurative e performative). Ma cosa intendiamo con il termine di medicina narrativa?
La medicina narrativa, che si sviluppa verso la fine degli anni Novanta alla Columbia University di New York grazie a Rachel Naomi Remen e Rita Charon, ha lo scopo principale di sensibilizzare il mondo medico a utilizzare un approccio narrativo nella relazione con il paziente. Il modello intende beneficiare non solo i pazienti ma anche i medici e, in generale, i caregiver, in un settore, quello della cura, in cui l’aspetto relazionale ed empatico è ridotto, se non quasi del tutto assente. È esperienza comune e non soltanto aneddotica vedere come l’aspetto empatico della relazione tra medico e paziente sia quasi del tutto alienato in favore della esclusiva riduzione del paziente alla sua malattia e ai suoi sintomi, diciamo così alla sua oggettività, mettendo ai margini l’esperienza soggettiva della persona.
La medicina narrativa intende affiancarsi alla Evidence Based Medicine (EBM) creando un nuovo paradigma di cura, complementare a quello di per sé empirico ed oggettivo della EBM, “intromettendo” l’esperienza soggettiva del paziente che rischierebbe altrimenti di essere esclusa nel processo di “presa in carico”. In questo caso si parla quindi di Narrative Based Medicine (NBM) che affiancandosi alla Evidence Based Medicine crea un approccio olistico alla relazione col paziente.
Medicina narrativa: il lato pratico delle emozioni
La medicina narrativa non è, tuttavia, un puro richiamo all’empatia, ai buoni sentimenti, che potrebbe suonare ragionevole ma dopotutto velleitario, addirittura ipocrita e con poche reali ricadute positive dal punto di vista clinico.
È esattamente l’opposto: la medicina narrativa, tramite la creazione di una più solidale relazione medico-paziente, intende migliorare cose ben tangibili quali la compliance alla terapia, il miglioramento della vita (emotiva) dei caregiver e in generale dell’ambiente ospedaliero, che in vista di questo paradigma rispettoso della soggettività dei pazienti (si pensi al caso dei bambini) dovrebbe dotarsi di ambienti e architetture più accoglienti e familiari. Ma mira anche ad obiettivi quali: il miglioramento in termini organizzativi del team di cura; una maggiore consapevolezza del ruolo professionale degli operatori e della complessità della vita del paziente; l’empowerment del cittadino assistito; il miglioramento della qualità della vita; la prevenzione del burn out di operatori e caregiver, in particolare per le malattie cronico-degenerative, infettive e rare.
In Italia il contributo di maggior valore scientifico viene dal Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, che dal 2009 riconosce l’importanza della medicina narrativa nei contesti sanitari, promuovendo iniziative volte al monitoraggio nazionale dei servizi che adottano tale impostazione teorico-empirica, favorendo momenti di incontro nazionale ed internazionale sul tema.
Come ovvio, la formazione del personale sanitario svolge un ruolo di primaria importanza: solo dotando i caregiver degli strumenti culturali, emotivi e psicologici si potrà disseminare nel contesto sanitario una sensibilità tale da rendere efficace questo approccio. In Italia esiste, ad esempio, il Master in Medicina Narrativa Applicata di ISTUD.
La narrazione e i suoi supporti
La narrazione della malattia da parte del paziente può avvenire in diversi modi e utilizzando diversi supporti. Oltre al racconto verbale e alla scrittura, un mezzo assai efficace è il video. Un video di una persona che parla della propria malattia e delle sfide che la malattia le pone, potrebbe rappresentare uno strumento sia di empowerment individuale, sia una risorsa utile per i caregiver. Ciò vale per qualsiasi malattia, ma si pensi al caso delle malattie rare.
Le persone che sono affette da malattie rare trovano molto difficile condividere la loro esperienza, e lo spettro dello stigma sociale e della vergogna rappresentano un oggettivo peso sul loro vissuto. Con il patrocinio di OMAR – Osservatorio Malattie Rare e di A.N.I.P.I. – Associazione Nazionale Italiana Malattie Ipofisarie abbiamo ideato e realizzato un video in cui una persona con una malattia rara (l’acromegalia) parla della sua malattia e del suo percorso di consapevolezza e di accettazione. Crediamo sia un ottimo esempio di come la medicina narrativa possa rappresentare un vero strumento di cura da inserire a pieno titolo nell’armamentario terapeutico a disposizione della medicina.
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