È uscito il nuovo numero di Genova Impresa con il contributo di Domenico Lombardini, CEO e fondatore di ASTW, relativo alle nuove modalità di intendere e organizzare il lavoro, tra smart company, produttività e vita privata.
Per tutti nostri lettori, riportiamo di seguito il testo completo:
Smart Company: l’esperienza di ASTW
Nel nostro paese fa fatica a farsi strada la smart company. Con tale termine possiamo indicare un’azienda che contempli stili gestionali e lavorativi elastici, e che contemperi produttività e bilanciamento tra vita privata e vita professionale dei dipendenti. Come noto, la stragrande maggioranza delle nostre imprese è costituita da micro e piccole imprese (sotto i venti addetti), spesso operanti in settori tradizionali a più o meno alta intensità di lavoro manuale. È pertanto sin da subito importante distinguere, ai fini limitati del presente contributo, due scenari “macro”: quello delle aziende di servizi ad alta intensità di manodopera; e quello delle aziende di servizi a minore intensità manuale e a più alto “apporto intellettuale”.
In questo contributo mi concentrerò su quest’ultime, in quanto è molto difficilmente adottabile uno stile lavorativo “smart” in piccole aziende come quelle operanti nel settore della ricezione (ristoranti, bar e alberghi), per tacere di quelle nel settore manifatturiero. Ovviamente, in seno a un’azienda di dimensioni maggiori il differenziamento e la specializzazione dei ruoli rende possibile, almeno per parte delle maestranze, adottare lo smart working, l’orario elastico o l’orario settimanale ridotto. Nondimeno, qui vorrei riportare un caso particolare (tuttavia generalizzabile ad altri casi simili e, in certa misura, scalabile su scenari di aziende più grandi), ossia quello di una piccola azienda (sotto i venti addetti) operante nel settore dei servizi con apporto intellettuale e che ha adottato stili lavorativi “smart”.
Valori diversi, aziende diverse
Numerosi sono ormai i riscontri aneddotici ma anche quelli tratti dalle indagini sociologiche che rilevano come per le nuove generazioni (generazione Z e millennials) il lavoro non sia più il “fulcro” della vita. La generazione di persone che furono adulte nell’immediato secondo dopoguerra e la generazione successiva (i cosiddetti “baby boomer”) vissero in un contesto socioeconomico che vide sì una crescita economica che segnò una netta cesura storica tra un’Italia arretrata e un paese che andava finalmente sviluppandosi. Ma il retroterra psicologico di queste generazioni, i loro valori erano pur sempre quelli creatisi all’interno di società frugali, spesso contadine, e i cui stili di consumo erano molto semplici e limitati.
È noto come la società di consumo di massa nel nostro paese non si ebbe che dagli anni Ottanta in poi, allorquando l’Italia (nel 1987) fece il cosiddetto “sorpasso” in termini di PIL rispetto a quello britannico, evento che fece diventare l’Italia la sesta potenza economica del mondo. Che le fondamenta di tale “sorpasso” non fossero solide è un fatto che la storia economica ha ormai acclarato ma che non rientra nell’ambito di questo contributo. Nondimeno è utile dire, en passant, che è proprio a partire dagli anni Ottanta che le nuove generazioni di lavoratori di cui ci occupiamo nacquero, maturarono e formarono i loro valori.
Se le priorità delle generazioni precedenti erano il lavoro e i figli (negli anni Settata ogni donna in Italia ne aveva, in media, tre), quelle delle nuove generazioni vanno in tutt’altre direzioni o, meglio, sono molto più variegate, e questo grazie agli sviluppi assai positivi avvenuti in seno alla società italiana negli ultimi decenni. In primo luogo, la maggiore (anche se comparativamente minore rispetto ad altri paesi sviluppati) partecipazione al lavoro e all’istruzione delle donne, ma in generale il ventaglio sempre più ampio di scelte esistenziali e, vorremmo dire, esperienziali tra cui un giovane di oggi può scegliere, che è stato reso possibile da una società sempre più opulenta e globalizzata. Che questo processo indubbiamente positivo abbia avuto anche “esternalità” negative (si pensi alla denatalità e al suo impatto attuale e futuro in termini di crescita economica e sostenibilità del welfare) è altresì fuor di dubbio.
Le aziende e gli imprenditori si trovano spesso in difficoltà nell’”inculcare” nei lavoratori la giusta motivazione e, diciamo così (ma senza alcuna retorica paternalistica) la “buona volontà”. Secondo l’esperienza di chi scrive, gli incentivi economici funzionano solo se ben escogitati e solo su certi tipi di “psicologie” (che sospetto essere minoritarie in queste fasce di età) ed è quindi necessario pensare “out of the box”. I valori dell’azienda dovrebbero collimare, per quanto possibile, con quelli dei lavoratori. Ciò non vuol dire cedere a pratiche lavorative non coerenti con la ricerca della produttività e dell’efficienza, ma prendere atto dei valori dei lavoratori i quali, giova ricordarlo, sono la parte pulsante delle aziende.
Orario elastico, smart working, orario settimanale ridotto: l’esperienza di ASTW
Una volta considerato tutto ciò, è necessario escogitare un set di incentivi che puntino non solo alla premiazione della produttività (che tuttavia, come sopra ricordato, agiscono bene solo su una porzione delle persone) ma che cerchino anche di contemperare le esigenze produttive dell’azienda e le esigenze esistenziali dei lavoratori.
L’esperienza di ASTW, piccola azienda operante nel settore dei servizi linguistici, è positiva. L’azienda ha adottato, da diversi anni, l’orario elastico (entrata e uscita in orari non fissi) e lo smart working ad libitum. Per rendere possibile tutto ciò, è stato necessario utilizzare applicativi informatici e infrastrutture IT (ormai alla portata di tutte le aziende) per monitorare l’attività e la produttività dei dipendenti e per dotare loro di tutti gli strumenti per lavorare da qualunque luogo essi vogliano. I risultati di questo stile lavorativo vanno sia a vantaggio dell’azienda (in termini di produttività) sia a beneficio dei dipendenti (che apprezzano tale stile lavorativo).
Inoltre, da diversi mesi ASTW sta adottando sperimentalmente l’orario settimanale ridotto, ossia quattro ore a settimana in meno per tutti i lavoratori assunti a tempo pieno. Con il caveat di garantire la continuità del servizio, e quindi con una programmazione attenta della presenza dei lavoratori per ciascun ruolo aziendale, l’azienda registra la conservazione della produttività e, assieme, l’aumento del benessere dei dipendenti.
L’adozione di tecnologie sempre più a buon mercato ma, soprattutto, l’ascolto dei valori e delle esigenze dei dipendenti, lungi dall’essere una moda o, peggio, uno strumento di marketing, rappresentano in una smart company uno strumento di competitività e di employee retention in un’epoca stretta tra quiet quitting e great resignation.
Il numero completo di Genova Impresa è visionabile a questo indirizzo.