Non è la prima volta che trattiamo l’argomento: il ruolo centrale della lingua inglese nelle scienze penalizza e danneggia i non madrelingua. Un presupposto ampiamente condiviso dagli addetti ai lavori, direttamente o indirettamente interessati. Ora, uno studio di recente pubblicazione mostra nero su bianco questa realtà.
La ricerca in questione è stata condotta da un team di ricercatori provenienti dall’Università del Qeensland (AUS) e dall’Università della California (USA) ed è stata pubblicata sull’autorevole rivista Plos Biology.
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“L’uso dell’inglese come lingua comune della scienza rappresenta un grave ostacolo alla massimizzazione del contributo dei non madrelingua inglesi alla scienza. Tuttavia, pochi studi hanno quantificato le conseguenze delle barriere linguistiche sullo sviluppo della carriera dei ricercatori che non sono di madrelingua inglese”. Fin dall’introduzione, risulta chiaro come i ricercatori vogliano indagare il reale impatto dovuto a questo impedimento linguistico, colmando il vuoto lasciato dalla carenza di studi in merito.
Per fare ciò, il team di ricerca ha coinvolto un totale di 908 ricercatori operanti nei settori delle scienze ambientali. Il campione è stato selezionato in modo da comprendere parlanti nativi di lingue differenti, provenienti da 8 diverse nazioni.
Queste ultime, scelte a loro volta per rappresentare un ventaglio di realtà eterogenee, specialmente in termini di sviluppo economico. Nell’elenco troviamo Bangladesh, Bolivia, Regno Unito, Giappone, Nepal, Nigeria, Spagna e Ucraina.
I risultati sono stati quelli attesi.
Per chi volesse approfondire, lo studio è visionabile gratuitamente a questo link.
Le difficoltà dei non madrelingua inglese nelle scienze
Nello studio, i partecipanti hanno risposto a quesiti riguardanti il proprio lavoro di ricerca, dallo studio e comprensione dei risultati riportati in paper internazionali, allo sviluppo dei propri articoli di settore, analizzando così le capacità di condivisione degli sviluppi globali del proprio ambito di interesse.
Le risposte parlano chiaro: più della metà di coloro che parlano una lingua diversa dall’inglese sceglie intenzionalmente di non presentare oralmente le proprie ricerche, all’interno di congressi ed eventi internazionali di settore. Il 30% sceglie addirittura di non partecipare.
Un altro dato interessante, con ogni probabilità collegato al precedente, mostra che circa il 40% dei ricercatori non madrelingua inglese si è visto rifiutare una pubblicazione esclusivamente per motivi linguistici. Questo dato deve dunque essere confrontato con quello relativo agli anglofoni, pari a circa il 14%. Ovvero meno della metà.
E quando non si tratta di un rifiuto, a oltre il 12,5% viene richiesta una revisione linguistica del proprio lavoro.
Infine, i non madrelingua impiegano all’incirca il doppio del tempo per comprendere un documento scientifico in inglese, lo stesso accade quando devono redigerlo loro stessi.
Le soluzioni per facilitare la collaborazione internazionale, rendendo più agile il contributo a tutti coloro che non parlano l’inglese come prima lingua, potrebbero essere molteplici. La più gettonata, non solo all’interno del settore dei servizi linguistici, è l’impiego di professionisti della traduzione e dell’interpretazione.
D’altronde, quale migliore opzione del potersi esprimere nella propria lingua ed essere compresi da tutto il mondo?
Foto di Andrea Piacquadio da Pexels