Attraverso… la revisione. Com’è possibile ottenere un livello di produttività competitivo mantenendo costante la qualità dei lavori? Sembra una missione impossibile, ma in realtà è semplice se si gioca con il giusto spirito di squadra.
Si inizia dal linguista, che post-edita con attenzione, in particolare verso i punti deboli noti del motore di traduzione utilizzato, e rilegge con cura. E poi…ricordate il waffle della puntata precedente? A me piace immaginarlo già cucinato a puntino, pronto per essere “servito” al revisore, che dovrà occuparsi semplicemente degli ultimi ritocchi.

Premessa necessaria: esistono diversi tipi di revisione, più o meno approfonditi o focalizzati su aspetti diversi, a seconda delle criticità del testo e di quanto richiesto dal cliente. Il tipo di revisione che svolgo più spesso nella mia giornata lavorativa è incentrato sulla coerenza interna del testo e sull’adeguatezza della terminologia scelta; senza dimenticare i controlli di qualità di routine. Devo dire che raramente scendo in maggiore profondità: il livello medio dei testi su cui intervengo è più che buono (e di questo devo essere grata a tutti i miei colleghi, interni e freelance!). Quindi se vi aspettavate un post dove mi lamento degli strafalcioni altrui sono spiacente di deludervi.
Forse l’avrete già capito intravedendo la mia indole pacioccona tra le righe di questa rubrica, ma mi sento piuttosto zen. Forse è per questo che fare la revisora mi riesce bene, e in un certo senso è strano, perché non mi piace per niente! Va però detto che i dettagli fanno sempre la differenza, e alcuni mi addolciscono la pillola. Tra questi, una consegna accompagnata da un bel glossario che mi faciliterà i controlli automatici; se poi arrivano note precise e dettagliate su eventuali problemi presenti nel testo di partenza, so che molto probabilmente quella revisione non mi rimarrà sullo stomaco.
Chi traduce sa che il distacco può fare miracoli per la riuscita di un lavoro. Spesso le soluzioni migliori si trovano lasciando riposare il testo per ore, nei casi più fortunati giorni. Parlo di fortuna perché chi traduce saprà altrettanto bene che potersi concedere questo lusso è spesso utopia. Ecco perché abbiamo bisogno della revisione!
Il revisore fa sul nostro lavoro esattamente quello che faremmo noi se avessimo tempo: leggere la traduzione con “occhi nuovi”, testarla per trovarne i punti deboli, aggiustare quei punti deboli nel modo migliore possibile, senza snaturarla.
Quest’ultima forse vi sembrerà una precisazione esagerata nel settore delle traduzioni tecniche, dove lo spazio per lo stile personale del traduttore sembra davvero ristretto. E invece no: una buona revisione deve sempre rispettare la materia prima iniziale ed evitare il più possibile le correzioni preferenziali, e un buon revisore deve ricordare che, anche se la pennellata finale è la sua, la firma sul lavoro resta sempre quella di chi ha tradotto, con gli onori e gli oneri del caso.

In un certo senso potremmo paragonare la nobile arte della revisione alle arti marziali: un approccio incentrato sulla non violenza, sull’eleganza e sulla pulizia dei movimenti, dove si gioca in difesa e non in attacco, ma senza pietà alcuna per gli errori oggettivi.
Tuttavia, da novizia della meditazione (nonché yogini condannata al limbo eterno del livello principianti), preferisco dire che la revisione forse è la parte più mindful del mio lavoro. E non solo perché in alcuni casi richiede molto autocontrollo… 😉
Intendo dire che la revisione di un testo su cui ha lavorato un’altra persona è un ottimo esercizio di sensibilità: l’obiettivo, infatti, a parte quello ovvio di verificare l’assenza di errori, è capire se una sfumatura diversa è qualcosa di davvero utile al testo (ad esempio, se si avvicina di più al linguaggio di una nicchia settoriale particolarmente specifica) o se si tratta solo di gusto personale. La missione del revisore è dunque questa: accompagnare il testo finale verso un equilibrio ideale.
Essere travolti da una cascata di perle di saggezza zen il lunedì mattina non rientrava nei vostri piani, vero? Be’, questi sono i rischi che correte venendomi a trovare per un innocuo caffè!
Quella nell’immagine di copertina sono io, disegnata da Claudia Plescia.